Souffle
è una performance
nella quale sono esplorate tutte,
o quasi,
le possibilità musicali di un interprete.
Fare musica con tutto il corpo.
Con i gesti.
Con la voce.
Che può parlare, cantare, gridare
ridere, singhiozzare.
Con le parole.
Con il fiato,
le souffle,
manifestazione delle emozioni
più intime,
libero
o dentro gli strumenti,
che sono un prolungamento
del corpo stesso.
O ancora estenderne le possibilità, suonando altri strumenti o
moltiplicandoli in un gioco sonoro di specchi creato con l’aiuto della
tecnica.
Sono molti i compositori del XX secolo che hanno lavorato sulla tenue
frontiera fra musica e teatro, a volte con grande rigore nell’ esplorazione
del suono e delle sue estreme possibilità, altre utilizzando gli strumenti in
forme non convenzionali, ricorrendo a rumori; effetti, suoni indistinti e
confusi, perfino inventando nuovi suoni, creando gesti sonori che sono
espressione delle emozioni più diverse e che spesso suggeriscono una
teatralità virtuale dell’ esecuzione.
Così accade in Souffle di Goffredo Petrassi, in Flèxions I di Henry
Pousseur o nella Sequenza I (per flauto) di Luciano Berio, prima di una
lunga serie di brani virtuosistici dedicati ognuno ad un diverso strumento e
che lo stesso compositore definisce “teatro di gesti vocali e strumentali”,
accompagnati da “ombre di significati…associazioni e conflitti che essi
stessi suggeriscono”. E proprio nella Sequenza III che essendo dedicata
alla voce elimina qualsiasi astrazione strumentale, il teatro irrompe senza
mediazioni.
Così come in altri brani di alcuni fra i compositori più rappresentativi della
ricerca sugli scambi e la fusione fra musica e teatro. Ad esempio Georges
Aperghis, compositore greco attivo a Parigi, che scrive Récitations per
voce sola, chiedendo all’ interprete di essere più attrice che cantante,
usando in tutti i modi possibili l’espressività di quel “mobilissimo
strumento” (cit. da Castaldi) che è la voce; o la compositrice svizzera
Andrea von Ramm con la sua Atem Sonate, Sonata del Respiro, una
sonata ‘classica’ in 5 movimenti che utilizza il respiro come unico
materiale sonoro; o ancora Giacinto Scelsi che in CKCKC utilizza quasi
esclusivamente suoni di consonanti e chiede alla cantante di
accompagnarsi con un mandolino posato sulle ginocchia, precedentemente
accordato in un modo particolare.
Yori Aki Matsudaira invece, in Rhymes for Gazzelloni, fa suonare al
flautista anche strumenti a percussione, sparsi per il palco secondo
un percorso sonoro e fisico.
In altri casi ancora la motivazione della creazione musicale può derivare
da alcuni aspetti del lavoro di un musicista, come con grande ironia fa
Paolo Castaldi in Cardini 1973, caricatura di una delle pratiche più
antimusicali impartite nei nostri conservatori: il solfeggio parlato.
Vinko Globokar in ?Corporel invece esplora il corpo del musicista stesso
inteso come strumento musicale da percuotere, accarezzare,
sfiorare...suonare in tutti i modi, mentre Steve Reich moltiplica lo
strumento per 11 chiedendo al flautista di pre-registrare 10 parti del brano
ed interagire dal vivo con la registrazione.
La musica è commentata da diapositive che visualizzano le partiture e i
testi dei brani, o immagini ad essi legate, mentre Vermont Counterpoint
di Steve Reich è accompagnato da un video realizzato da AGL insieme
a Valérie Bregaint.
AGL aggiunge costantemente brani tratti dalla letteratura contemporanea per flauto solo (ovvero per tutti gli strumenti della famiglia del flauto) e per voce sola alla performance Souffle che per ogni interpretazione viene adattata al luogo e all'occasione del concerto.